Montagne di passaggio, ecco cosa mi sembrano gli Appennini. Ho sempre pensato che unissero più che dividere, come una lunga cicatrice. D’altronde mio padre aveva trovato mia madre proprio di là dal passo.

Si attraversano con tutti i mezzi (treno, macchina e perfino a piedi) ma raramente ci si ferma. Eppure sono anche luogo di rifugio. Ci si scappa da centinaia di anni in fuga da persecuzioni e ordini costituiti. Montagne che nascondono ma non isolano. ​​Luoghi dove a più riprese, nella storia, si è organizzata la resistenza e sviluppato nuovi modi di vedere il mondo.

Cosa sarà rimasto di tutto questo viavai, di tutte queste stratificazioni? Possibile che ci sia soltanto abbandono e spopolamento?

Se ripenso alla mia infanzia quei luoghi mi sembrano pieni di vita e personaggi non sempre accoglienti ma di sicuro interessanti. Oggi ho iniziato a ripercorrerli provando a mantenere quello sguardo disincantato. L’impressione è che quella vitalità ci sia ancora ma che in qualche modo si sia atomizzata, frammentata. Le isole che la compongono non riescono a sentirsi arcipelago, è tutta lì la loro debolezza. Manca un racconto collettivo che le abbracci tutte e le faccia sentire parte della stessa “famiglia”, una famiglia alla quale sento di appartenere.

 
 
 
 
 

Le immagini che vedete in questa galleria sono soltanto l’inizio di un progetto che sto ancora portando avanti. L’occasione per raccogliere questo primo corpo di lavoro mi è stata offerta dalla Cooperativa di Comunità La C.I.A di Palazzuolo sul Senio (FI) che mi aveva coinvolto in un progetto finanziato dal Ministero della Cultura tramite il bando Strategia Fotografia.